venerdì 4 febbraio 2011

Solo un possibile inizio



Suwarrow, Isole Cook, Oceano Pacifico Meridionale, 18 luglio 2036


Stare qui, sdraiato nella mia cabina, ad osservare attraverso l'osteriggio aperto il cielo stellato sopra di me. E nessuna legge morale in cui arrovellarmi più, ormai.
Non servirà.

La vita è rotolata tutta in una scia spumeggiante e confusa di luci ed ombre, di plancton luminoso e caotico nella notte di un mare indifferente.
Ora, dopo tanta vita e lunghi anni, invece di distillare finalmente un lume di comprensione, un qualche misero significato della nostra brutale esistenza, riesco solo a scorgere immani spazi siderali, vuoti di silenzio e nulla, posti a insondabile barriera tra un corpo celeste e un altro.

Queste figure illusorie, che chiamiamo costellazioni, ci appaiono in sembianze diverse al nostro sguardo, e solo per noi, raccontano di animali favolosi, di antichi eroi, di miti, di leggende, di camaleonti e idre, tucani e vele, ottanti e croci.
Tali sono le illusioni che il cielo dei mari del Sud sa raccontare.

Da quando ho perduto le forze la mia vita dipende dal giovane Tom.
E' il figlio del guardiano di questo atollo sperduto, avamposto in mezzo all'Oceano di quella grande nazione che è la Nuova Zelanda.

Ho disposto che la mia magra rendita venga versata direttamente sul conto bancario della sua famiglia. Lui provvede, ogni giorno, con la sua lancia a motore, a portare sulla mia barca ancorata tra i coralli della laguna, cibo ed acqua, quando a questa già non abbia provveduto il cielo con le sue benedette piogge.

Il ragazzo veglia sulla mia salute, ogni giorno sempre più malferma. E mi pare di scorgere, nei suoi giovani occhi, la stessa espressione, la stessa afflizione di quando io, di pochi anni più grande di lui, dovetti affrontare per la prima volta la malattia e la morte di una persona amata.

Sono “ospite” di questo sperduto atollo da più di due anni ormai. Il tempo qui sembra non essere passato. La vita dei guardiani, eccetto che per le comunicazioni satellitari, i corsi scolastici on-line e i giochi olografici dei ragazzi, sono le stesse di cent'anni fa. Una famiglia, un fazzoletto di terra su un atollo sperduto, la vecchia carretta spinta ancora dai motori diesel che fa il suo ingresso in laguna ogni due mesi per rifornire dei viveri necessari, e i visitatori naviganti. Ormai sempre più rari.

C'era stato un tempo in cui questo atollo era divenuto un'icona. Una meta di pellegrinaggio per gli zingari del mare. Venivano qui, portavano doni ai custodi, restavano qualche tempo e poi spiegavano le bianche ali delle loro barche, e partivano. Per poi tornare forse dopo molti anni, magari dopo un altro giro del mondo. Erano sempre loro. Una razza che sta morendo, di cui, probabilmente, io, Carlo Gaumont, sono rimasto uno degli ultimi sopravvissuti.

Chi va per mare nel 2036 sono solamente i milionari in vacanza, con le loro navi da diporto, e i regatanti sponsorizzati, su barche costosissime quanto effimere. E costoro non vengono certo a Suwarrow!
E' finito per sempre il sogno di libertà del Popolo delle Barche, degli scalzacani del mare con poco denaro e troppe illusioni. Bernard Moitessier, James Wharram, i ragazzi del Damien e tutta quella schiera di sognatori, liberi marinai, liberi pensatori.

I custodi dell'atollo, qui, nonostante la Rete Globale e la telefonia olografica satellitare, sono più soli che settanta anni fa!

Perciò quel ragazzino mi ama. Sono lo straniero venuto dal mare. Rappresento per lui l'avventura e l'ignoto. Non aveva mai visto un vecchio, prima di me. E' nato su quest'isola. Le persone conosciute al di fuori del suo nucleo familiare non arrivano a contarsi sulle dita delle mani.

Lui, figlio di schiavi inconsapevoli, macinati dal Sistema Globale, che hanno sacrificato al lavoro tutta l'esistenza. L'eremitaggio non è stata per questa famiglia una scelta, ma un'imposizione. Il lavoro prima di tutto, ad ognuno la sua mansione, oggetto quasi di venerazione, tra i cittadini di questo mondo globalizzato. In cambio della loro stessa vita, un po' di intrattenimento virtuale e del denaro, unica speranza di sopravvivenza per quando verranno estromessi dal grande meccanismo: per la vecchiaia. Il welfare è solo un ricordo del passato. Subdolamente è stato ormai estirpato in quasi tutto il mondo.

Credo che in Tom ci sia la scintilla della ribellione. Forse un giorno “oserà”, e abbandonerà la via predestinata. Se accadrà, per come gira il mondo oggi, avrà vita difficile e pericolosa, povero ragazzo!

Le ore della notte ruotano nella volta stellata, e già la Croce del Sud è al tramonto, mentre l'Idra, con la sua volubile mireide rossa, ha già fatto la sua entrata, più ad Est.

E' un cielo alieno a quello della mia infanzia. Da quanti anni non vedo più il Grande Carro?

E' da tempo ormai che si riaffacciano prepotenti alla mia mente gli anni dell'infanzia lontana, le due madri che mi hanno cresciuto, la Liguria lontana, Sanremo, i compagni di scuola, quel bambino violato ed ucciso...

Tutta quella solitudine e le mosche che brulicavano sul suo corpo...

Quando accadde? Doveva essere il 1968, facevamo la terza elementare, Federico, Paolo, ed io.

Ora ho settantasette anni e sono quasi in pace, sdraiato nella cuccia della mia barca. Le lenzuola sono pulite, grazie a Tom, e l'attrezzatura è ancora in ordine, dopo i miei ultimi sforzi, prima della ricaduta.

Sotto l'osteriggio aperto io posso respirare ancora il soffio degli Alisei.

Trade Winds li chiamano gli anglofoni, pragmatici, come sempre, anche oltre il necessario.

Alizés, Alisei, Vientos Alisios... li ho sempre chiamati io nella mia vita. Sono stati i più assidui e più fedeli compagni di tutto il Grande Viaggio.

Sono sempre in pace quando loro soffiano sulla mia pelle abbronzata e sempre più rugosa.
Il momento in cui sentirò fuggire via la vita dalla mia carcassa, e sento non sarà lontano, io non cercherò affatto di gridare, di richiamare l'attenzione di Tom per non affrontare la morte da solo.

Solo, è meglio.
Il cerchio semplicemente potrà chiudersi.

Di gridare non se ne parla proprio.


Sanremo, Liguria, Italia, 1 ottobre 1968

Gridare "Federicooo!" alle sette e mezza del mattino, laggiù, sovrastato da quei palazzi eleganti, severi e silenziosi... Non se ne parla proprio.
Non ce la faccio. Anche se la zia mi aveva detto di fare proprio cosi.

Invece mi siedo sul marciapiede e cavo dalla tasca del grembiule una radice di liquirizia mezzo masticata, l'annuso e comincio a biascicarla.
All'inizio fa schifo, sa di legno, poi se ne esce quel buon sapore...