mercoledì 22 dicembre 2010

Qualche ora dopo...


Ciao! Finalmente sono riuscito a tornare sul web! Mi mancavate! :) :) :)

Avvertenza!

Questo non è assolutamente un post natalizio! E' parecchio lontano dallo spirito del Natale, è anzi agli antipodi. Può sembrare anche piuttosto crudo.




Dopo mezzogiorno.




Luce artificiale. Neon verdastri.

L'uomo steso sulla lettiga era privo del braccio sinistro. Amputato qualche centimetro sopra il gomito. La cicatrice sembrava di vecchia data. Era nudo, eccetto i genitali, fasciato come un neonato, o come certe raffigurazioni di Cristo in croce.
Le sponde sollevate gli impedivano di scendere o di cadere.

Farfugliava in un patois sconnesso e gutturale. Pelle d'ebano. Occhi persi.
Nessuno sembrava capirlo.
Agitava l'unica mano.
Un giovane medico bianco che stava passando frettolosamente in corsia si fermò all'improvviso e gliela strinse. Un gesto di sorpresa umanità.

L'uomo borbottò più forte, il suo sguardo si focalizzò lentamente sul nuovo arrivato e si illuminò di una luce allegra, folle. Bloccò in una morsa la mano del medico che, pentito, cercava già di liberarsi dalla stretta.
Forse fu l'odore rivelatore. Oppure semplicemente il giovane si accorse che la mano dell'uomo era umida e vide che il ventre ed il petto erano bagnati.
L'uomo pochi istanti prima aveva estratto il pene con un lamento e aveva orinato, con uno schizzo disordinato e potente, sulla mano, sul braccio, sulla pancia, sul torace e per terra.

Di fronte alla lettiga dove era steso, nella corsia gelata da una climatizzazione malsana quanto inutilmente dispendiosa, una fila di poltroncine di plastica ospitavano in quel momento una giovane donna con il collare ortopedico, un uomo grasso privo di una gamba ed uno straniero. La donna osservava tra il divertito e l'attonito la scena. L'uomo senza una gamba, un creolo di circa trent'anni, masticava con cura meticolosa un panino imbottito che si era portato da casa, e scuoteva il capo, guardando la chiazza di orina a terra, di fronte a lui. Lo straniero cercava, senza riuscirci, di pensare solo ai fatti suoi, afflitto da tetri pensieri e dal suo sterile egoismo. Questo lo so, perché lo straniero ero io.

Il medico infine riuscì a divincolarsi dalla stretta, si asciugò la mano sul camice e riprese, un po' seccato, verso la sua destinazione. L'uomo sdraiato ricominciò a mugolare. Massiccio e imponente, i capelli corti e ricci solo un po' brizzolati. I muscoli del petto possenti, le spalle ampie, l'unico braccio largo per due. Le cosce, due tronchi d'albero.

La donna cominciò con intenzione a fissare l'uomo che presto se ne accorse.

Di nuovo quella luce allegra e folle negli occhi, di nuovo fu preso dall'agitazione.

Cominciò un monologo incomprensibile e concitato privo di consonanti, composto quasi esclusivamente da “u” e da “o”.

La giovane donna con il collare ortopedico in certi momenti sgranava gli occhi, forse riusciva a capire qualcosa, non so, e scoppiava in un breve riso nervoso, coprendosi la bocca. Poi continuava a guardarlo sorridente.

In un angolo in disparte della corsia un altro dottore stava auscultando una vecchia nella sua lettiga. Le aveva alzato la maglietta sulla schiena. Ad un certo punto lei prese a tossire e sembrava non riuscisse più a fermarsi. Strabuzzava gli occhi. Poi smise.

Ad un tratto irruppe in corsia, di corsa, un ragazzo.
Poteva avere sedici anni, macilento, gli occhi spiritati. Andò a sbattere contro una parete, rimbalzò scivolando contro quella opposta rischiando di cadere, quindi riprese in qualche modo a correre lungo la sua traiettoria di fuga. Una falena impazzita.

Scomparve dietro una porta, quindi apparvero immediatamente due poliziotti, anche loro di corsa. Silenziosi e veloci, i volti inespressivi, imboccarono senza incertezze la direzione in cui si era diretto il ragazzo, come l'avessero saputa in anticipo.

Fu solo questione di un attimo, poi tornò la calma, e il mugolio cadenzato dell'uomo sulla lettiga cantilenò ancora a lungo, interrotto, a tratti, dagli scoppi nervosi di una risata argentina.


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Dopo mezzanotte.


Giochiamo?

Allora facciamo finta ci sia un Universo che ci contiene.

Non importa che sia del tipo classico, come ce ne hanno sempre parlato, o del tipo nuovo: una sorta di infinita riproduzione di mondi paralleli.

Allo scopo di questo gioco, che si tratti di un Universo o di un Multiverso in effetti non cambia proprio nulla.

Prendiamo questo Universo o quel che è, allora, che ci contiene tutti, con le sue brave galassie tradizionali. In una di queste, proprio alla periferia (qui cominciano i sospetti) ci stiamo piazzati noi.

Già sentita questa, vero?

E il gioco? Dove starebbe? In cosa consisterebbe???

Un attimo di pazienza, ci sto arrivando.

Facciamo finta anche che esistano due Forze Fondamentali che agiscano in esso: il Bene e il Male.

Il gioco consiste proprio nel tifare per una delle due squadre. Per una delle due Forze.

Intendiamoci: tifare non significa agire coerentemente per una o per l'altra. Potremmo sbagliarci. Commettiamo, si sa, un sacco di sciocchezze e quasi mai sappiamo con chiarezza cosa davvero stiamo facendo. Cause ed effetti spesso riservano amare sorprese.

No?

Siete convinti del contrario?

Nulla vi sfugge al controllo?

Allora vi chiedo scusa e beati voi. Nel bene o nel male, da quale delle due parti abbiate deciso di stare, sareste davvero forti.

Qualcuno al solito potrebbe obiettare: "Che palle a prescindere! Il Bene e il Male non esistono! Ce li siamo inventati noi. Tutto è relativo. Per esempio per dei selvaggi cannibali mangiare il nemico è 'molto' bene, mentre per noi civilizzati è 'molto' male. E allora come la mettiamo?"

Ebbene io ribatterei che quel bravo cannibale che si mangia il nemico ucciso ha scelto il Bene. Che sappia poi esattamente cosa in realtà stia facendo, la cosa non ci riguarda. (A meno che in pentola non siamo noi, s'intende.)

Beh dunque quindi per giocare occorre tifare, scegliere una squadra, è necessario. Gli indecisi non giocano e restano in panchina.

Decidere, per noi del pianeta Terra, però, potrebbe essere molto difficile.

Chi sceglie il Male sa, tutto sommato, di tifare per la squadra (per antonomasia) 'sbagliata'.

Può però provare un gran gusto in questo, come il bambino che prova godimento nel tormentare, torturare e uccidere piccoli animali indifesi. Perché poi ne tragga piacere andrebbe indagato con cura, ma non fa parte di questo gioco, è troppo difficile per me, e comunque le cose stanno cosi'. E' un dato di fatto. Esiste (a volte o spesso) come realtà. Inspiegabile forse, ma purtroppo reale.

Chi invece tifa invece per il bene e osserva la vita così com'è sulla Terra e ripensa al cammino dell'Umanità ha l'amara consapevolezza di essere un dannato e fottuto perdente.

Troppe cose sono innegabilmente crudeli in Natura e va ancor peggio a voler sondare la Storia e la natura dell'Uomo.

E quindi, a mo' di consolazione, chi tifa per il Bene si inventa l'Aldilà. Dove la propria squadra sicuramente vincerà (anzi ha già vinto) e i tifosi verranno finalmente ricompensati per la loro fedeltà in vita o per lo meno per i loro “propositi”.

Oppure si inventa la Reincarnazione (Non dimentichiamocela! Una buona fetta dell'Umanità, forse più della metà, ha optato per questa seconda soluzione che per noi Occidentali è solo “alternativa”.)

Con essa, chi ha agito indegnamente regredirà ad una forma di vita inferiore e più impura nella vita seguente. Chi al contrario ha agito degnamente salirà di grado.

(Detta in soldoni spiccioli con buona pace degli addetti ai lavori.)

Ma resta comunque la grande domanda:

"Perché mai il Male ha cosi' tanto potere? Perché, nonostante la maggior parte di noi tifi per la squadra del Bene (credo), il Male invece trionfa (praticamente) sempre?

A cominciare dal dolore, la sofferenza e la morte, tanto per rimanere su cose quotidiane e banali, per non dover scendere nei dettagli efferati di certe atrocità a volte innominabili commesse sia dall'Uomo, che dalla Natura stessa (malattie e sofferenza dei bambini per fare un piccolissimo esempio)?

Perché, ragazzi, suvvia, non siamo mica nati in Svizzera!

Siamo nati (e rassegnamoci!) in una parte dell'Universo molto periferica, (e non intendo geograficamente ovvero astronomicamente! Bensì nel senso di "Aree d'Influenza del Bene e del Male"). In una specie di Bronx (siamo nati) dove a voler essere smodatamente ottimisti, l'influenza del Bene sta suppergiù intorno a un 40%.

40% di Bene / 60% di Male.

Ecco fatto.

Solo moderatamente sfortunati.

Pensate ad un posto 20/80 per esempio!

Oppure un 5/95 !!! Brrr!

Noi stiamo a 40/60 (forse), ed è già qualcosa! Che culo!

In certe epoche buie siamo scesi pure a 35/65!

Fate un po' voi. Non sono bravo con i numeri.

Vista cosi' la faccenda, però, la Reincarnazione potrebbe anche darci delle soddisfazioni. (Vista pero' esclusivamente da un punto di vista nuovo e differente, basato sul "dove" e non sul "come".)

Pensate (se fate i bravi) di rinascere, per esempio, in un mondo all'80/20!!! Orpo!

80% sotto l'influenza del Bene!

A partire dalla Natura stessa!

Da noi sfigatoni, per esempio, per contenere (tanto per dirne una) il numero degli erbivori sono stati inventati i predatori carnivori! Geniale! Ma che puzza di zolfo!

Inseguimenti, terrore, dolore e morte da una parte, oppure dover crepare di fame dall'altra! Che scelta! Non sarebbe stato più semplice (o semplicemente più “buono”) invece inventare esclusivamente erbivori (magari già che ci siamo in grado di volare e dotati di pollice opponente oltre che di un discreto cervello in grado anche di autoregolare le nascite?

Le piante produrrebbero ossigeno e nutrimento per tali erbivori evoluti, ed essi produrrebbero (come si conviene) anidride carbonica e composti azotati (cacca) per le piante. Simbiosi perfetta. Nessuna sovrappopolazione. E nessun dolore! (né terrore, né crudeltà).

Tanto per fare solo un esempio molto cretino, s'intende.

Ovvio che in realtà potrebbe esserci molto, ma molto di meglio.

Pure (magari) un posto ad alto numero di ottani, che so, addirittura un 95 su 5!!! Wow!

Non riesco nemmeno ad immaginarmelo ragazzi, come sarebbe bello viverci!

Beh, buonanotte!

E il gioco?

Quale gioco? Sono stanco, ora ho sonno!

domenica 31 ottobre 2010

Tomas ed il ritorno di Miles & Buddy... Mr.Tales Coffee continua - Settima puntata


Sono assente da tempo da mondoblog, commento poco e posto pure di meno. Svariate le cause, una tra le quali, strettamente contingente, è spiegata dall'immagine di questo nuovo post. Si chiama Tomas, così, senza nemmeno un'acca!

Un uragano tardivo e improvviso che ci ha presi tutti un po' troppo alla sprovvista, tanto che il meteo francese della Martinica alla radio vhf dava codice verde e aliseo debole e moderato solo il giorno prima che arrivasse tra capo e capicollo... Fortuna che c'è il buon NOAA (www.nhc.noaa.gov) che invece aveva dato una percentuale piuttosto alta di un fenomeno ciclonico in arrivo ed io me la sono filata nelle mangrovie di Le Marin e ho piantato due ancore nel fango.
Un'altra fortuna ha voluto che il peggio passasse a sole 70 miglia nautiche da qua(circa 130 Km), tra St.Lucia e St.Vincent, e la Martinica sia stata sfiorata con “soli” 60-70 nodi di vento (circa 110-130 Km/h), e le ancore abbiano tenuto! :) :) :)

Poco prima che arrivasse questo ben-di-dio avevo scritto la continuazione delle demenziali avventure di Miles & Buddy.

Ora la posto in un lampo che qui il collegamento è un botto al minuto! (Le Marin non fa troppi regali!)

Verrò a trovarvi appena possibile!!! Scusate l'assenza!


Baciotti!!! :) :) :)

Quando uscimmo dal 'Tofu allo Spiedo', Buddy portava sotto il braccio i miei avanzi in un "doggy bag" veramente carino, mentre le prime stelle della sera facevano la loro apparizione nella ribalta del cielo come vecchie debuttanti recidive e un po' fané.

"Sento che non mi hai detto tutta la verità sul conto di mio fratello, fratello." mi disse Buddy all'improvviso mentre camminavamo nel buio imminente verso la Chevy fiammeggiante di adesivi e parcheggiata a lisca di salmone. "Sei davvero sicuro che Stan stia bene, Miles?"

Dapprincipio faticai a capire. Mi girava la testa. Troppo saké. Ci riflettei sopra, e poi risposi, calmo:
"Si, Buddy, sono proprio sicuro che stia davvero bene."

"Ah, ecco! Mi pareva." disse lui, e per tutta la serata e la notte che seguì non toccammo più l'argomento.

Era accaduto che mi ero affezionato a quel ragazzo, come tanti anni prima mi capitò nei confronti del suo eccentrico fratello. Il solito vizio di famiglia! Ed ora, all'improvviso, mi era venuto a mancare il coraggio di rivelargli (per l'ennesima volta) la verità sulla morte di Stan.

Ma soprattutto non ci fu il tempo, perché da quel momento in poi le cose si mossero davvero in fretta.

La calma calda della sera fu turbata all'improvviso da una raffica, ma, attenti ragazzi, non si trattava di vento.

Il canto stonato di una mitraglietta Uzi ferì il sensibile orecchio di Mino Sala, lo strangolatore pizzaiolo di origini italiane che cominciò a bestemmiare, mentre Sym Ballet, detto Uzi, sbagliò, per l'ennesima volta nella sua carriera di killer prezzolato, la mira. Oltre che balbuziente, pure strabico.
Era tempo di saldi.

Fu così che il mio amico Buddy stramazzò al suolo trascinandomi con sé nella sua caduta.

"Quelli dovevano avercela con te, fratello!" mi sussurrò Bud strascicando dolorosamente le parole.

"Buddy! Omioddio Buddy, no!!! Buddy bello! Resisti ragazzo mio! Dove ti hanno beccato?" Gridai.

"Accidenti. Mi hanno..."

"Arrenditi Miles!" gridò Bim "Butta l'artiglieria e vieni fuori con le mani alzate. Non ti faremo alcun male bella gioia! Giggle, giggle..." (Sempre su di un'ottava con la voce, quello!)

"Maledetti bastardi!" gridai "Cosa avete fatto al povero Buddy? Perché lui? Cosa c'entrava?"

"I-i-i-incidenti d-d-di p-p-p-ercorso! A t-t-tte non c-c-c-capita m-m-mai v-v-v-vero, p-p-p-ezzo d-d-di m-m-merda?" tartagliò ad alta voce dall'altra parte della strada Sym Ballet con voce stridula. E ci mise tutti i suoi tre minuti buoni per finirla.

Io ne approfittai per prendermi cura di Bud: "Resisti amico mio, vedrai, ne usciremo come nuovi da questa brutta storia!"

"Ormai è tardi Miles..." rispose lui con un dolore infinito nella voce.

"Dove? Dimmi dove hanno colpito, presto!"

"Miles, fratello mio... E' troppo tardi! E' spacciato ormai!..."

"Uh?... Come sarebbe ' spacciato???"

" Il doggy bag... Non c'è più niente da fare! Omioddio Miles, che spreco terribile! Quale perdita irrimediabile!"

"Butta l'artiglieria! Esci fuori con le mani alzate! Ti vogliamo vivo, c'è una persona che vuole vederti. Ehi amico, ci dispiace davvero per quel ciccione amico tuo, giurin-giuretta!" gridò Sala Mino.

Per fortuna erano fissati che io fossi armato! E pure convinti che Bud fosse morto.

"Dobbiamo giocarli!" dissi a Buddy.

"Preferirei menarli magari, eh? Ehi! C'era del t-o-f-u giapponese qua dentro! Roba di importazione, mi spiego?" E, disperato, mi mostrò il sacchetto ridotto ad un colabrodo biancastro e molliccio.

"Scusa, ma se non ti avevano colpito, perché sei ruzzolato a terra trascinandomi nella tua caduta?"

"Ho solo cercato di salvarlo! Mi sono esibito in una generosa emulazione di Starsky&Hutch. Ma è stato tutto inutile! È andato!"

"Getta l'artiglieria. Te lo ripetiamo per la seconda volta!"

"G-g-g-guarda c-c-che è la t-t-terza! N-n-non f-f-fare le s-s-so-solite f-f-figure d-d-da ignorante!!"

"E tu vedi di non sbagliare sempre mira, testa di cetriolo!"

"Ragazze, non litigaaaate!"

E mentre loro 'bla-bla', Buddy ed io raggiungevamo ventre a terra la fida Chevvy.
Partimmo sgommando in una fumata blu-acido mangia-olio.

Ora si poteva sentire un'altra raffica dietro di noi: stavolta era però il vento rabbioso delle otto marmitte trombonate della mia bellezza supercompressa! Uno scarico buco per ogni cilindro, volez-Vous et parlez-Vous, la classe non è acqua, e l'eleganza è sempre innata. E poi signori si nasce, ed eccetera-eccetera, si capisce! Of course!

"Giggle, giggle!" Aggiunse Buddy.
Aveva ritrovato il suo sorriso.

(Continua... VROUUUMMMMM!)

domenica 26 settembre 2010

EdireCheNonBevoEcheNonFumoz!


Aruki aveva due amori: le pecore e la Riviera dei Fiori Italiana.
Perso il primo al Sedici al Secondo, quando vinse, sbancò il Coniò Metto-Metto e mise su un albergo che sembrava un tram chiamato Delfinario, e Desiderio, pure, di patate purissimo (of course) e di bignè.

Ma va vagendo va! che meglio!” disse al Sofà Misterioso della Ertòmene devota alla sacralgia ottenebrata dagli spasmi.



Montecitorio!” rispose quello.



Non profferì parola, e non parve più nemmeno che gli fumasse il lobo temporale.

480 Volts.” disse dopo-lunga-pausa “Quello è il mio nome!”

Logico, ma non era vero, era Aruki, invece.

Si accese una torcia con la sua raffinatissima Lambvetta (che-altro-non-era che una Lambrelta uscita male dalla Catena montaggiosa Pre-Alpina).

"Celodurismo" citò Sofà (tra parentesi accorciate).

"Il Brenta è meglio del Gorgonzola erborinato spinto.” rispose Aruki, e fu categorico su questa sparatoria.

Poi entrò sputacchiando Goran Vilic, poveretto. Era al settimo ciclo: l'avevano maitizzato alquanto.

Cose che capitano ai morti.” disse.

E poi rinacque così, come spiovesse.

E spiovve infatti, e parecchio, manco a dirlo! Governo Frodo!

domenica 12 settembre 2010

Mr. Tales Coffee - RiCapitolando...


Ci sarebbe voluto Mr. Tales Coffee.
Per risolvere una volta per tutte questa sporca faccenda. E pararmi il culo.
Ma i soldi non crescono sugli alberi, almeno così dicono. Le foglie caso mai. E poi cadono anche quelle, come pesche mature in una mastella di sangrìa puzzolente.
E, manco a dirlo, fu così che cominciò tutto, maledettamente, in quella implacabile e fredda estate del ‘59.
Il fatto è che non ci avevo i soldi per assumere quel figlio di puttana: Mr. Coffee.

Avevo trovato il caro vecchio Stan a fare il morto in un tino da sette tonnellate di Cabernet Sauvignon. Sempre piaciuto alzare il gomito, ma stavolta forse aveva esagerato.
Il prossimo a cui sarebbe toccato quel brindisi, il suo ex socio, ero io.
Mi sarebbe spettato di diritto quella cortesia, lo sapevo già in anticipo. E ora dovevo correre ai ripari, o per lo meno correre svelto.

Ma prima si trattava di disfarsi in qualche modo di quelle sette tonnellate di vino avariato alla cadaverina-putrescina, o non avrei nemmeno avuto da mettere, dico, la benzina nella mia vecchia Chevy.
Riuscii a rifilarle a una ditta italiana di mia conoscenza, roba da import-export, che venne alla svelta con due autobotti ed un tritacarne, e si occupo’ anche, già che c’era, delle onoranze funebri di Stan. Ci ricavai trecento dollari e una specie di macinato grosso in cambio di quello che, in un’altra occasione, sarebbe diventato un grande rosso.

C’era poco da stare allegri… Sparse le ceneri (non sottilizziamo ora) di quello che era stato il mio più caro amico nel suo stagno da pesci-gatto preferito, avevo ormai quasi finito lacrime e benzina. Era giunto il momento di fare la prossima mossa.

“Ecchelazzo!” disse Nat il benzinaio. Disse proprio così, vedendomi arrivare a spinta. La benzina era finita due miglia più lontano.
Gli dovevo sei pieni ormai vuoti, e da altre sei settimane avevo dimenticato di andarlo a trovare.
“Mi sei mancato gran figlio di una pia donna” disse. Era molto religioso e non poteva dire parolacce. Tantomeno incazzarsi. Aveva un sacco di clienti, ed era sempre in bolletta.
Per farla breve feci il pieno e non lo pagai. Già che c’ero gli chiesi di Mr. Coffee giusto per darmi un po’ di arie.
“Mi devi duecentotrenta quattro dollari e ottanta cents.” disse. Sembrava un filo alterato, ma non poteva esagerare.
“Mà-stà-bòno!” gli risposi alzando la voce in romagnolo. Aveva sempre avuto soggezione della cultura, ed io ne approfittavo a mani basse.
“Quando cominci a parlare in straniero mi confondi, Miles . Lo sai che mi confondi vero? Lo fai apposta, ecco!” disse contrariato, e aggiunse: “Col ciuco che ti do ancora benzina, a te!”
Stava facendo progressi, ma ‘cucco’ non lo poteva ancora dire: troppo osé.
Io lo incalzavo da vicino:
“Muo-và-là!... Dimmi piuttosto di Mr.Coffee. Tales Coffee. Fa il bravo! Dove posso trovarlo? Ho da proporgli un lavoro…”
“Guarda che quello si fa pagare sul serio!” esordì Nat , e cominciò a cantare.
Stare ad ascoltare le sue stonature senza protestare era il prezzo che avrei dovuto pagare per quella soffiata.


Lo trovai alla torrefazione di Susie-Anne Allchantilly , seguendo i salmi di Nat.
Avevo trecento dollari in tasca, una richiesta da fare ed una paura fottuta. Coffee era un tipo da non scherzarci troppo. Era infatti un soggetto molto, molto nervoso.



(Continua... Muo-va-là!!!)


Riassunto della puntata precedente: Chiamatemi Miles. Il mio vecchio amico e socio Stan è stato affogato in sette tonnellate di vino rosso e anch’io mi sento in pericolo. Ottenuti 300 dollari dalla vendita del vino avariato, riesco a rintracciare, grazie a Nat il benzinaio, le orme di Mr. Tales Coffee, l’unica persona in grado di porre fine ai miei guai. In che senso lo vedremo dopo. A quanto pare lui si trova al momento in una torrefazione dalla dubbia fama, di proprietà di una certa Susie-Anne Allchantilly , il tutto nella mia città natale: NewOrleans. Ci vado.

Susie-Anne , a giudicare dai suoni inarticolati che provenivano dal retrobottega, credo stesse eseguendo una manovra molto delicata sul famoso alluce valgo di Tales. La Allchantilly era nota infatti come la migliore pedicure di tutta New Orleans. La torrefazione era naturalmente una copertura. Presi tempo e mi preparai un vero espresso italiano in una tazza di polistirolo da un quarto di gallone. Quando si può bisogna prendere le occasioni al volo. Quindi abbondai con panna, cannella e zucchero.
La testa di Susie-Anne Allchantilly spuntò improvvisamente dal retrobottega con la bava alla bocca:
“Maledetto Miles! Non ti si può mai lasciare solo con il mio caffè!” sbraitò.
“Lo sai che ti adoro Suze!” la blandii con un sorriso allungato.
Venne tirata per il collo all’interno del retrobottega da una mano nera, grande e pelosa.
“Ti amo, Miles!” fece in tempo a squittire, scomparendo oltre la tenda.
Stavo sorseggiando il caffè quando entrarono all’improvviso Sym Ballett, Mino Sala, e Joe Bim .
Sapevo chi erano e pure immaginavo chi li avesse assunti per offrire l’ultima bevuta al mio caro ex-socio Stan. Quel povero figlio di puttana doveva essersi battuto come un leone prima di farsi affogare nel vino, perché si vedeva che tutti e tre portavano il sospensorio. Ebbi un moto d’orgoglio e un altro, intestinale.
“Guarda guarda” disse Sym.
“Chi si vede…” aggiunse Sala.
“Il vecchio Miles!” finì Bim.
Deglutii la crema Chantilly (ci avevo poi messo anche quella nel caffè) e
, pronto a scattare, zompai agilmente in piedi. Me li sentivo di argilla.
“Bastardi! Ve la farò pagare!” sparai “Come sapevate che ero qui?”
“Nat ha cantato…” disse Sym sogghignando.
“E tu pagherai anche per questo… Non immagini cosa ha dovuto sopportare il mio sensibile orecchio italiano!!!” aggiunse Sala disgustato. Infatti gli avevano mozzato l’altro, da piccolo, per via del pedigree.
“Non pensi che Nat sarà ben felice di perdere un cliente del tuo calibro?” mi domandò Bim , e si mise a sghignazzare istericamente.
Il pio Nat mi aveva venduto per qualche gallone di benzina! Da non crederci!
Presi tempo: “Balle! Nat non mi avrebbe mai fatto questo. La sua religione non glielo permette!”
“Si è convertito proprio ora, e si è fatto integralista ateo!” risposero in coro.
“Soch-mel!!” azzardai in emiliano, bluffando e alzando un po’ la voce.
I tre dovettero rimanere molto impressionati, perché arretrarono e i loro volti si fecero terrei.
Capii meglio il motivo quando alle mie spalle udii la voce roca, cavernosa e spietata di Tales Coffee pronunciare lentamente:
“TROPPO CASINO QUI. STATE DISTURBANDO IL MIO ALLUCE.”
Mi voltai e restai impietrito: era uscito dal retrobottega, con un asciugamano in vita e, manco a dirlo, l’artiglieria puntata.
Sym Ballett , detto Uzi per la sua passione per la pistola mitragliatrice, si affrettò a dire: “Mr. C-C-C-Coffee… Noi non s-s-s-sapevamo assolutamente che Lei f-f-f-fosse q-q-q-qui!” Mai soprannome fu più azzeccato.
“Ci perdoni Mr. Coffee!” Aggiunse, con finta disinvoltura, Mino Sala, l’italiano pizzaiolo specializzato in strangolamenti. “Non era nostra intenzione disturbarla in alcun modo!”
Mr. Coffee??... Omioddio!!! Mr. Coffee!!! “ esclamò Joe Bim in tono acuto battendo le mani, e poi, su di un ottava: “Sono un suo fan, lo sa? Sfe-ga-ta-to!!! Già che c’è’ mi farebbe l’autograf… Ouch!!!” Sala Mino l’aveva piegato in due con una gomitata al plesso solare.
“Non lo badi... Ossequi e arrivederla.” Concluse lo strangolatore.
Coffee inarcò un sopracciglio. E i tre squagliarono al volo.
“E TU NON TE NE VAI?” sibilò Tales Coffee, guardandomi di traverso.
“Mr.Tales” risposi con un groppo in gola “Ho un’importante richiesta da farle… “
Lui rimase un attimo interdetto. Si guardò l’artiglieria con noncuranza. Poi chiese:
“E SAREBBE?”
“Saprebbe dirmi dov’è il bagno?”
“IN FONDO A DESTRA.” rispose “E FA TRECENTO DOLLARI.”
“T-là! Giusti, giusti!” Glieli contai leccandomi le dita, tutto contento.



(continua… T-là!!!)




Riassunto delle puntate precedenti: Chiamatemi Miles. Il vecchio Stan è stato affogato nel vino rosso e rischio anch’io di fare la sua fine. Vendo il vino avariato per 300 dollari e, grazie a Nat il benzinaio, riesco a trovare Mr. Tales Coffee, l’unica persona in grado di aiutarmi, nella torrefazione di Susie-Anne Allchantilly: pedicure sotto mentite spoglie, segretamente innamorata di me. Giungono Sym, Sala e Bim, killers prezzolati, esecutori dell’omicidio di Stan. La presenza di Mr. Coffee li mette in fuga, io ho bisogno del bagno e lui me lo indica per 300 dollari.




Uscii dal bagno un quarto d’ora dopo con le idee più chiare e le mutande più scure. Eh, sì, troppo tardi! Mr. Coffee era già uscito e Susie-Anne, nel retrobottega, stava praticando una complessa onicotomia ad un nuovo cliente.


Di una cosa potevo essere certo ora: in futuro avrei potuto avvicinare Tales Coffee per una nuova richiesta senza rischiare di essere ucciso a priori. Le cose si erano messe decisamente bene.


Lasciai un biglietto per Susie-Anne e uscii dalla torrefazione guardingo.


“Dimenticami, SusannaTuttaPanna! Dolcetto del mio caffè, ciliegina sulla torta del mattino! Non c’è futuro per noi” ci avevo scritto bagnandolo copiosamente di lacrime.


Bisogna saper essere veri uomini quando serve.



Se c’è una cosa che il vecchio Stan riconosceva in me, è lo spiccato senso per gli affari, pensai avviando il poderoso otto cilindri della fida Chevy.


Io capisco al volo quanto può valere un affare e quanto bisogna pagare per realizzarlo.


Per la mia prossima richiesta a Mr. Tales Coffee ci sarebbero voluti trentamila dollaroni, non uno di meno, ma avrei definitivamente risolto i miei guai per il futuro, e finalmente vendicato il vecchio Stan.


Poco prima, nel preciso momento in cui ero uscito da quel cesso maleodorante, svuotato nell’animo e non solo, percepivo già, come per un sesto senso, chi era stato il bieco mandante dell’omicidio del mio ottimo socio. E perché l’aveva fatto.


Ma prima di scatenargli la belva alle sue luride calcagna (e a quelle bislacche di quel trio di sgangherati killers), avrei dovuto trovare le prove.


Prove inconfutabili. Prove certe.


Ah, già!... Dimenticavo, e trentamila dollari.

Quindi andai da Nat, ancora una volta. Avevo un conto in sospeso da regolare con lui… per quella sporca soffiata che aveva fatto: mi aveva venduto al trio “Houdini”, così, al primo colpo! L’avrebbe pagata cara!

“Mi devi duecentosessanta sette dollari e trentadue cents! Sono sette pieni, gran figlio di una puttana gonorroica!” disse lui. Sembrava un filo alterato, ma non poteva esagerare, pensai tra me e me.

“Cut’vegna un colp!” risposi, alzando la voce e spadroneggiando in romagnolo com’ero solito fare con lui “Sei tu che mi devi pagare, lurida spia!” e aggiunsi: “So tutto della tua sporca soffiata! Dammi subito trentamila dollari!!!”

Nat sgranò gli occhi, diventò tutto rosso in faccia e mi stese con un pugno, facendomi, tra l’altro, volare un dente.

Quando riaprii gli occhi appresi benevolmente che aveva bisogno di un nuovo lavamacchine dopo che aveva mandato all’ospedale il precedente. Gli aveva rubato seicentonovantaquattro pelli di daino, durante il suo periodo non violento religioso.

“Per fare molti soldi, bisogna cominciare sempre dal basso! Ricordatelo figliolo!” diceva mio nonno. Ora, essere costretto a lavare macchine per Nat, poteva rappresentare un ottimo inizio! Un giorno avrei potuto restituirgli i suoi fottuti dollari per la benzina, raggranellare i trentamila di cui avevo bisogno per Coffee, e pagarmi un dentista.


Sulla conversione improvvisa di Nat, rimaneva un fitto mistero insolubile. Alle mie domande in merito non rispondeva, ma cominciava a guardarmi di brutto. Quindi, visto i trascorsi odontoiatrici, glissavo con classe.


Però lui non era poi male: mi permetteva di indossare sul lavoro il mio ineffabile travestimento da albino, per poter sfuggire al trio Sym Sala Bim sguinzagliato ormai sulle mie tracce. E aveva anche accettato di nascondere la mia Chevy nel vecchio capannone della Gas Station. Ci aveva pure cambiato l'olio!


Praticamente ero in una botte di ferro!


(continua…. Giggle… giggle… :P)


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Ricomincia da qua. E in effetti non ci avevo ancora pensato a questa storia, o meglio, forse ne avevo solo perso il filo, come quando si sta per dire una frase, e all’improvviso ti accorgi che non sai a cosa stavi pensando. A te succede? A me sì un sacco di volte, specialmente quando sono nella corsia di sorpasso.


Sto per dire, che so: “Quant’è bella giovinezza…” e la frase, soggetto, verbo e complemento oggetto, se ne fugge tuttavia, e mi tocca già quasi rientrare nella corsia dei mezzi pesanti, perché un altro bestione è ormai fumato.


Lampeggia, per dirmi: “Mi hai passato fratello con i tuoi 800 cavalli turbo-fiammeggianti, puoi rientrare a destra senza rischiare di portarmi via mezza cabina, con i miei annessi e connessi. Io continuo per la mia strada al mio solito passo, tu vai, vai… Sniff… snuff…  Evvai!!! Accelera!!! Mòvete!!! Ma quanto puzzi!!!”


Chissà perché puzza tanto il mio camion???


Mi ero depresso durante il sorpasso, che fesso! Per via della puzza! Pesto sull’acceleratore mestamente, il turbo va di nuovo a regime, ed il triste fratello della strada scompare lentamente nei retrovisori, diventa un puntino sulla scia d’asfalto, liquida di riflessi sotto il sole abbagliante, e poi più nulla. Amaro destino…


Stavo dicendo?…


Ah sì, devo fermarmi a fare gasolio, su questa fottuta statale che ormai mi ha portato qui, a New Orleans.
C’è un distributore, con la scritta: Miles Gas Station”. Mi fermerò lì.


VROOOOUUUUUUMMMMMMMM…

Ciao! Sono Miles.


Vi ricordate di me? E della eccentrica fine del mio amico, socio e vecchio Stan?


Provò a bere settanta ettolitri di ottimo Cabernet Sauvignon da noi abilmente prodotto nell’annata… Non me la ricordo più l’annata, appartiene al passato ormai. Sono trascorsi ben cinque lunghi anni da allora. Lui non ce la fece, il vino forse conteneva troppo antigelo, o forse semplicemente era molto. Fatto sta che morì.


Dispersi io personalmente le sue ceneri, o forse sarebbe più corretto dire una fattispecie di un suo macinato grosso, nel miglior stagno da pesce gatto in cui aveva mai pescato quando respirava.


La sua prematura scomparsa… era meglio non facesse troppo scalpore in giro, soprattutto alla Polizia, e poi lui era un tipo solitario. Così andò per il meglio e lui ne fu contento.


Al mondo non aveva nessuno, proprio nessuno. Povero Stan!


Tranne me.




Avrei voluto vendicare la sua morte, ed il mezzo ci sarebbe anche stato, ma non avevo denaro sufficiente per questo signor mezzo che di nome faceva Tales, e per intero Tales Coffee.


Trovai un rifugio sicuro presso il religiosissimo Nat, il benzinaio, che, in seguito all’improvvisa sua conversione all’ateismo spirò di un colpo apoplettico senza nemmeno fare in tempo a dire amen, dopo avermi gonfiato di botte e assunto amorevolmente come lavamacchine.


Dopo la sua dipartita mandai avanti io tutta la baracca.


Qualcuno doveva pur farlo.


Grazie al mio ineffabile travestimento da albino, sfuggii ai tre killers prezzolati Sym Ballett, Mino Sala, e Joe Bim, che volevano la mia testa. Non riuscendo a trovarmi cominciarono a girovagare per gli States, fiutando le mie tracce. Questo perché avevo nascosto i miei famosi calzini quattro-stagioni sotto il rimorchio di un camion misterioso diretto a Pensacòla. Loro lo seguirono. Non li ho mai più rivisti da allora.


…VROOOOUUUUUUMMMMMMMM…

Stavo dicendo?…
Ah! Ecco cosa stavo dicendo: “Quasi quasi, ora che sono arrivato a New Orleans, faccio un salto a trovare il mio vecchio fratellone Stan! E il suo inseparabile socio Miles! Non li vedrò… non li vedrò da almeno tre mesi! O saranno cinque? O forse…
Boh! Ne approfitterò per farmi una bella bevuta! Il loro vino è così buono, ma così buono che mi ricorda la gazzosa col cherry brandy che ci preparava sempre la nonna a colazione…”


…VROOOOUUUUUUMMMMMMMM…

(Continua… ???)




L’immagine è tratta da: http://morystar.com/images/product/1240299888American_truck.JPG








Quando vidi attraverso il vetro sporco, dall’interno della stazione di servizio, l’ultima delle diciotto ruote finire di mordere l’asfalto e uno sbuffo di aria compressa e polvere dal camion spazzare le pompe del gasolio, mi parve di rivivere un malato dejà-vu.

Qualcosa di molto, ma molto familiare, come un ricordo tormentoso, sopraffece le mie narici.
Un secondo dopo avevo già realizzato che il rifugio sicuro di quegli ultimi cinque anni trascorsi alla gas station era sfumato come i colori in un acquerello di ninfee.

La guerra stava per ricominciare, e stavolta sarebbe stata spietata.

L’aroma inconfondibile dei miei fatidici calzini quattro-stagioni si sprigionava, come una nemesi, da sotto il pianale di quel camion in sosta sul piazzale.

Su questo non c’era alcun dubbio: la puzza, dopo cinque anni di stagionatura, si percepiva ormai chiaramente a diverse miglia di distanza.

La sorte aveva deciso di farli tornare al mittente, i miei calzini. E con essi, sarebbero arrivati a breve, come una ricevuta di ritorno, anche Sym, Sala e Bim, i tre killers prezzolati sguinzagliati inesorabilmente sulle mie tracce per tutti gli States. Certa gente non dimentica. E soprattutto non perdona.

Io nemmeno.

Indossai ancora una volta il mio ineffabile, ma ormai alquanto logoro, travestimento da albino, pur presentendo che questa volta non sarebbe bastato a salvarmi i cosiddetti.

Mi decisi, e uscii nel piazzale, allo scoperto, sotto il sole rovente della Louisiana, o almeno credo.

La geografia non è il mio forte.

Mi avvicinai lentamente al camion, con passo circospetto. Il mio infallibile fiuto mi suggeriva di stare all’erta. Se fossi finito sottovento alla puzza sarei potuto stramazzare stecchito al suolo.

Guardai nella cabina. Il tipo non si vedeva. Era già uscito senza che me ne accorgessi, o si era rintanato all’interno?

Chi era il misterioso autista? Che intenzioni aveva? A che gioco stava giocando?

“Cucùsèttete!!!” gridò lui, piombandomi alle spalle.


Dopo essere caduti entrambi rovinosamente a terra e aver rotolato per una cinquantina di metri abbracciati l’un l’altro, ruzzolando da un capo all’altro della statale tra le auto strombazzanti che ci evitarono per miracolo, e dopo aver sbattuto contro un trampolino da acrobata gettato casualmente tra la spazzatura, addossato al muro, e quindi, dopo essere rimbalzati, rotolando in senso opposto attraverso la statale e finalmente ritornati sul piazzale della stazione di servizio, riuscii a balzare agilmente in piedi e riconobbi subito il mio misterioso assalitore.

Puff!

L’ineffabile travestimento da albino doveva aver perso un po’ del suo originario candore, perché Bud, detto Buddy, l’improbabile e dimenticato fratello di Stan, mi aveva riconosciuto al volo!
Miles!!!” gridò infatti sorridente, saltellandomi intorno tutto contento.

Come potevo essermi dimenticato di lui! Eppure è grande e grosso come un armadio quattro stagioni, e anche di più! E’ certo un tipo che non passa inosservato!

Quanto Stan era stato esile, piccolo, nervoso e letale (era il terrore dei pesci gatto!), così Bud,il suo fratellino, era invece enorme, nerboruto e pacifico. Mi ricordava un po’ Nat il benzinaio ai tempi del suo fervore non-violento religioso, prima che mi avesse fatto saltare via un dente. Solo che Bud era molto, ma moooolto più grande e robusto.

Miles, vecchio paraninfo!” mi apostrofò “Che ci fai in una stazione di servizio? Ed il nostro fruttifero podere vinario? Scommetto che ci lasci sgamellare mio fratello tutto solo, nevvero? Orsù, sei un po’ pallido vedo! Sarà colpa del benzene nella benzina! E come sta il mio adorabile fratello Stan? Eh?… Come sta?…”

Bud era un tipo così , parlava strano, e prima io non lo capivo.Però poi mi c’ero abituato. Anche per questo l’avevo alfin dimenticato.

Mentre mi tornava alla mente una vecchia canzone, avevo realizzato in un solo istante tre grandi verità:


La prima: era ora di smettere definitivamente il mio ineffabile travestimento da albino. Sembrare solamente un po’ pallido non era il target giusto, non sarebbe servito certamente ad evitare il trio Sym Sala Bim. Quindi me lo tolsi subito con un po’ di crema detergente ed un batuffolo di ovatta anallergica che tenevo nella tasca posteriore dei pantaloni. Bud, alla vista del mio solito incarnato, ne fu subito sollevato.

La seconda era l’impellente necessità di far sparire i miei calzini quattro-stagioni con la loro mefitica traccia odorosa al più presto!

La terza, e che avrei dovuto addossarmi l’ingrato compito di raccontare la prematura scomparsa di Stan a Buddy, con la dovuta delicatezza necessaria per non scioccare il suo disarmonico animo sensibile.

“Bud” gli chiesi a bruciapelo “Che ne diresti di cambiare completamente tipo di vita?”

“In che senso Miles?” mi domandò incuriosito.

“Lanciare alle ortiche il tuo vecchio lavoro, il camion nuovo, tutto l’elenco dei clienti affezionati che ti sei faticosamente procacciato nel corso degli ultimi trent’anni di duro lavoro, e abbracciare una nuova Fede: diventare il mio socio!”

Non so perché articolai quella frase, ma in quel momento mi sembrava la cosa più intelligente da dire.

Wow!” si mise a urlare “Mi stai chiedendo di diventare socio tuo e di Stan, Miles?… Per santa Tiche! Non posso crederci! Che suprema felicità!!! Che allegria!!!… Ma subito!!!!”

Di andare a recuperare i calzini stagionati da sotto il pianale non se ne parlava proprio. Le maschere antigas erano finite dal tempo degli ultimi saldi di Natale.

Feci l’unica cosa da fare, l’unica, veramente intelligente, per eliminare nel giro di pochi istanti quella funesta traccia odorosa che avrebbe attratto inesorabilmente il trio Houdini in prossimità del mio retrotreno:

Dare fuoco al camion e a tutta la stazione di servizio.

Il vecchio otto cilindri della mia fida Chevy, ritornata nella vivida luce del giorno dall’ovattato oscuro rifugio del garage di Nat il benzinaio, pace all’anima sua, prese subito a fare le fusa sotto il cofano rosso fuoco allietato da sobri adesivi giallo, nero e arancio raffiguranti le fiamme dell’inferno e qualche diavolo armato di forcone.

La discrezione è importante, e la classe non è acqua.

Pigiai finalmente il piede sull’acceleratore. Al mio fianco il fido Bud, nuovo socio in affari e imperituro alleato, sorrideva beato; alle nostre spalle il camion di Buddy, la vecchia cara stazione di servizio di Nat e mezzo isolato di New Orleans oscuravano il sole torrido della Louisiana con il loro denso fumo nero.

Ad un certo punto udimmo un gran botto: i serbatoi di benzina erano esplosi. Il gasolio invece se ne bruciava in silenzio, tutto tranquillo.

Come non pensare alla celebre frase del film di Francis Ford Coppola, “Odore di napalm, odore di vittoria”!

La colonna di fumo si allontanava all’orizzonte, mentre le sirene della polizia e dei vigili del fuoco laceravano l’aria.

Si trattava ora di dire solo due paroline a Buddy… 

Due paroline ben dette, sul conto della tragica fine del suo beneamato fratello Stan.

Decisi che la cosa andava presa molto, molto alla lontana. Ci vuole un gran tatto in certe cose.

“Ricordi…” cominciai a dire “…quanto Stan, quando era ancora vivo, adorava mangiare i pesci-gatto?”

Bud spalancò gli occhi, annuì, e continuò a sorridere e guardare fisso avanti a sé, e non rispose.

“Beh…” gli dissi “Ha saputo ricambiargli il favore.”

“ Wow! Forte!… In che senso Miles?”

Guardai Buddy con la coda dell’occhio, mentre imboccavo l’autostrada a più di centoventi miglia orarie.

Si era girato verso di me e sorrideva ancora.

Capii che sarebbe stata dura. Molto dura.


(Continua... )  ... chi indovina la canzone sopra accennata?)
Risposta: "Pablo" (F.De Gregori) .... l'ha indovinata Spes



Grazie di seguirmi! :)

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Nota: l'immagine in copertina è tratta da:
http://pigscantfly.files.wordpress.com/2008/07/apocalypse-now_01.jpg

 






VROOOOUUUUUUMMMMMMMM…


Le immagini scorrono, ai lati della strada, veloci come gli anni scivolati alle spalle e lasciati rotolare nel calderone implacabile del tempo.


Sembra ieri che ero qui, sulla Highway 61 con Stan al mio fianco, ed un radioso e bugiardo futuro enologico all’orizzonte. E oggi sono di nuovo qui, sulla stessa auto, sulla stessa strada, la mitica 61, con il suo scompaginato  fratello, ed un avvenire quanto mai fumoso davanti al radiatore.


Proprio nel fumo, infatti, avevo lasciato tutti i miei risparmi degli ultimi anni che, per una deprecabile quanto inopportuna svista, avevo dimenticato nell’ingegnoso doppiofondo da me realizzato in una tanica piena di benzina, laggiù, in ciò che rimaneva della gas station. Un nascondiglio perfetto. Troppo perfetto. Nessuno infatti li rivedrà mai.


“Bud” annunciai allegramente “Ci servono trentamila dollari per aggiustare le cose e vendicare la memoria di tuo fratello!”


Gliela buttai giù dura, così! Che non riesco a stare sul sentimentale troppo a lungo.


“Yuk yuk, Miles! E’ una gran bella cifra per vendicare Stan! A proposito, quand’è che andiamo a trovarlo e farci una bella bevuta insieme?” rispose Bud.


“Non sarà possibile, amico. Ne ho disperso le ceneri nel suo stagno da pesci-gatto preferito, Buddy. Se vuoi posso portarti lì.”


Sgranò gli occhi e rimase a guardare la strada che ci correva incontro veloce.


“Non amo la pesca.” disse.


Seguì un interminabile silenzio, che rispettai con infinita discrezione.


Il Mississippi ormai riluceva rossastro sotto il sole stanco del tramonto quando Buddy alla fine disse:


“Non trovi sia quasi ora di cena, Miles?”


Lo guardai e non risposi. L’aveva presa dannatamente bene il ragazzo! Da vero uomo, pensai. Non ha fatto nemmeno una domanda, ha preso semplicemente atto del feroce destino e tira avanti a muso duro!


Guardai l’ora: le sette e un quarto. Mi accorsi di avere anch’io un certo appetito.


La Steak House di Rosemary’s Baby si trovava giusto a sole tre miglia di distanza.


Quando spensi il poderoso otto cilindri, dopo aver parcheggiato la Chevy nel piazzale e feci per scendere, la mano gigantesca di Bud mi inchiodò al sedile.


“Cosa stai facendo Miles?” mi chiese Bud con occhi spiritati e una voce cavernosa.


“Ehi! Che ti salta fratello? Sei impazzito?” esclamai “Non dovevamo mettere qualcosa sotto i denti?”


“Miles!…” disse premendomi sul torace con la mano da togliermi il fiato “Non mi dirai ora che vorresti mangiare ‘quella roba’ ?…”


“Da Rosmary’s Baby?…” risposi un po’ incerto “Perché no? Fa certe costate di manzo alla brace che…”


La pressione delle sue cinque dita aumentò e stava per sfondarmi il torace.


“Off! Buddy… cough… levami quella mano da dosso per la miseria! Che ti prende?”


Si guardò la mano, poi guardò la mia faccia, poi di nuovo la mano, e la ritrasse giusto in tempo prima dell’imminente sfondamento. Arrossì e sorrise.


“Discolpa Miles! Sono affranto per la pressione sul costato ma non provare a pressarmi: di costate non si parla, non desisto!”


Presi fiato e dissi: “Eh?”


“Sono vegan, diletto amico!”


Mi sbottonai il panciotto e poi dissi: “Eh?”


Nella vita bisogna saper far scelte decise.


Le cose stavano così.


Bud aveva settantamilottocentocinquanta dollari su un libretto di risparmio al portatore e settecentotrentadue dollari e diciotto cents nel portafogli.


Io avevo mandato in fumo tutti i miei risparmi di quei cinque anni alla gas station, la bellezza di ben 99 dollari e ottantasette cents. Se tutto fosse filato come programmato quel giorno avrei sfondato il muro dei cento dollari!
E invece…


Ma bisogna saper cogliere le opportunità al volo, mi diceva sempre mio nonno sparando alle quaglie, e quindi decisi di stare al gioco.


Cenammo in un locale giapponese poco distante: “Il Tofu allo Spiedo”.


Dopo essermelo trovato davanti, il tofu, e aver provato ad intagliarci con la punta del coltello un nuovo tipo di maschera da albino, decisi invece di seguire l’esempio di Bud e cominciai a masticarlo lentamente.


Quella sera mi spuntò qualche lacrima di commozione al pensiero di cosa mi ero perso in tutti quegli anni...


Lo innaffiammo con un ottimo rosso d’annata. Succo di ribes se non ricordo male.


Dopo cena, sazi di tofu e verdure scondite, seduti per terra nella posizione del loto, davanti al tavolino di bambù alto sette pollici, con due tazze di sake tiepido tra le mani (una per ogni mano) parlammo del nostro futuro di soci.


Spiegai a Bud tutta la storia, e che sarebbe stato necessario assoldare Mr. Tales Coffee, un fido mercenario, l’unica persona in grado di sconfiggere i nostri nemici e finalmente vendicare la tragica fine di Stan.


Gli dissi anche che ero praticamente certo chi fosse il mandante dell’esecuzione di Stan, si trattava di un certo Stanislao Lewinsky, un noto importatore di vini millesimati della Patagonia.
La nostra implacabile concorrenza l’aveva spiazzato, e lo  stava portando inesorabilmente sul lastrico.


E inoltre che i tre killers Sym Ballett, Mino Sala, e Joe Bim erano professionisti spietati e segugi implacabili, e nonostante avessi fatto di tutto per far perdere le tracce, presto o tardi mi avrebbero trovato, se prima non ci avesse pensato Mr. Tales a sistemare definitivamente tutta la faccenda.


Quindi Buddy mi avrebbe dovuto foraggiare i trentamila.


“Senz’altro Miles! Ma perché vuoi vendicarti di Stan?… Dimmi la verità, ma che tiro mancino ti ha combinato il mio fratellone, eh?” mi chiese complice Bud  “E poi… Quand’è che ci decidiamo ad andare a trovarlo quel birbante?”


Cominciai a grattarmi la testa furiosamente. Ero allergico al tofu.


(Continua…)