domenica 13 settembre 2009

Il sogno e la spiaggia


Una lunga spiaggia che scompare lontano dietro un (implacabile) promontorio roccioso, che strapiomba.

Il cielo è plumbeo, la sabbia fine e ondulata dal vento.

Qua e là pietre, alghe secche e conchiglie. Una bottiglia di vetro verde, rotta.

In cielo volano - (groviglio d’ali, piume, grida assordanti. Insaziabile fame) - innumerevoli gabbiani.

Cammino lungo la battigia e le onde bagnano i piedi nelle vecchie scarpe da tennis (...penetra il mare su per le vene e tremano i polsi. Si ferma per un attimo il cuore).

Passi lenti, pesanti. Scarpe inzuppate schizzano, opprimenti e grevi. Resto bloccato (…incantesimo del sale).

Mi siedo. Le onde ora lambiscono le gambe, L’acqua non è fredda. Qui finisce la spiaggia e comincia il mare.

Ho sete e mi lascio scivolare; l’acqua mi
ricopre, ho gli occhi aperti, affondo, e comincio a nuotare sott’acqua verso il largo (...come un placarsi di sete).
Vedo intorno a me, tutto chiaro e perfetto (…cristallo di mare).

Nuoto rasentando il
fondale deserto e sabbioso, l’acqua è limpida e scorgo, lontano, il ripido declinare del fondo, e il blu (…lo zaffiro perfetto, ecco il moana).

Sto respirando l’acqua e sto bene. Osservo le tane dei polpi e piccoli spirografi racchiudersi (…i giardini di inverno).
Non voglio più risalire.
Mi sdraio sulla schiena e la superficie brilla lassù, distante.
Mi siedo sul fondo e
levo le scarpe.

Si allontanano leggere, sulla sabbia ondulata, danzando con la corrente.

Ma c’è qualcosa che galleggia lassù. Voglio andare a vedere, e risalgo.
La spiaggia è lontana, il mare si è fatto d’olio.
Il cielo è tornato azzurro e
splende purissimo il sole.
A poche bracciate da me c’è un pattino, i remi dondolano pigramente sugli scalmi.
E’
di legno, vecchio, dipinto di bianco e d’azzurro. Lo raggiungo e vi salgo.

E ti vedo, seduta e serena che mi saluti ancora con la mano (…rivedo il tuo bel sorriso, mamma...).

Lacrime di rimpianto, di dolore, lacrime che esplodono amare.

Lacrime grosse e salate che cadono e si perdono, del tutto inutili, tra tutto quel sale.



Nota: l'immagine è tratta da:
ANNE DE L'EPINOIS - Bordighera sul capo di Sant' Ampelio

domenica 6 settembre 2009

La leggenda di Cola Pisci


 
“Cola!"
“Coola!”
“OoooColaPiiiiiisciiii!”
Mastro Cirase chiamava da più di un’ora.
“Colaa! O Coola! Cola Pisci!”
Ma Cola Pisci era ancora di sotto. Forse troppo indaffarato.
Chi lo sa cosa combinava quand'era laggiù?
Gli dèi lo sapevano. E nessun altro.
“Coola!”
“Mastro Cirase! Che chiamate a fare? Tanto non vi può sentire!”
“Taci Nescireddu, che ne sai tu! Ci sei mai stato laggiù? Che parli a fare, per Zeus! Zitto!”
(pausa)
“Coola!”
“OoooColaPiiiiiisciiii!”
(silenzio)
“Forse questa volta è affogato.” azzardò Nescireddu.
Mastro Cirase si girò lentamente a guardarlo.
Poi sgranò gli occhi, inarcò le sopracciglia. Grugnì. Alzò il bastone, e prese a rincorrere il ragazzino, per tutta la spiaggia.
“Mastro Cirase! Mastro Cirase! Che fate? Aiuto! Mastro Cirase, Mastro Cirase!” strepitava Nescireddu.
“Ah, piccolo mascalzone! Te lo faccio vedere io se è morto! Puah! Cola Pisci non si deve neanche azzardare a morire! Ora ti prendo!”
“Mastro Cirase, Mastro Cirase! Aiuto! Mastro Cirase, Mastro Cirase!” e scappava come il fulmine.
In quel momento ci fu un’altra scossa tellurica. Poderosa. 

Nescireddu cadde e Mastro Cirase gli fu subito sopra.
“Pietà Mastro Cirase!”
Mastro Cirase rimase ginocchioni, immobile, con il bastone sollevato, la mano stretta sul collo di Nescireddu, la bocca socchiusa e gli occhi sgranati dal terrore.
“Hai sentito Nescireddu?” attonito, a voce bassa, “E’ stata più forte delle altre!”
“Sì, Mastro Cirase. Pietà, Mastro Cirase!”
“Stolto! Non capisci? Si sta sgretolando...”
(Pausa. E intanto continuava a tener stretto Nescireddu per il collo.)
“Il pilastro di Grecale... Il pilastro di Grecale...” aggiunse con voce rotta, ricca di pathos.
Mastro Cirase lasciò lentamente la presa e si rimise dritto all’impiedi.
“Il pilastro, Mastro Cirase?...” chiese rispettosamente Nescireddu, rimettendosi in piedi e riparando sveltamente a distanza di sicurezza.
Il vecchio si girò con un guizzo e cominciò ad arrancare spedito verso la battigia.
Piccole onde frangevano sulla rena dorata, e vi si prosciugavano subito. Piccoli granchi facevano capolino nella sabbia.
Giunto colà, dove finisce il mare, Mastro Cirase si fermò.
Esitò.
Poi si fece coraggio, ed entrò nell’acqua sotto il sole di agosto. E continuò a camminare finché l’acqua non gli giunse alla gola.
“Mastro Cirase, non sapete nuotare... Che fate?” domandò timidamente Nescireddu.
Per tutta risposta Mastro Cirase, fece un gran respiro, infilò la faccia nell’acqua quel tanto che i capelli lunghi e arruffati rimasero ben asciutti, e si mise a fare bolle e gorgoglii.
Poi emerse di scatto e cominciò a rantolare come se stesse crepando.
“Mastro Cirase?...” (lo speranzoso Nescireddu)
Mastro Cirase riuscì ad arrancare faticosamente a riva, e si lasciò cadere sulla sabbia, continuando a tossire.
“Mastro Cirase!” (Nescireddu deluso, a debita distanza)
“Ho bevuto il mare.” tuonò “Ho bevuto tutto il mare, ma per gli dèi, io lo ho chiamato. Ora quando arriva, prima lo scortico vivo, e poi gli dico cosa deve fare!”
E così fu che Cola Pisci emerse dal mare, e Mastro Cirase gli disse che la Trinacria stava scomparendo sotto i flutti perché il pilastro di Grecale si stava sgretolando. E che lui, Cola Pisci, il grande nuotatore, doveva tornare giù negli abissi, questa volta per sempre, per sorreggere il pilastro incrinato della Trinacria.
Per tutta l’eternità.
A queste parole, Cola Pisci rimase a lungo in silenzio.
Guardò Mastro Cirase. Carezzò sulla testa il piccolo Nescireddu.
(Il grato Nescireddu)
Diede l’ultimo sguardo d’amore alla sua terra.
Contemplò il cielo azzurro.
Si soffiò il naso.
Poi si tuffò.
Per l’ultima volta si tuffò.
Nuotò giù, giù nelle gelide e oscure profondità abissali, fino al grande pilastro di Grecale.
E trovò che in effetti era incrinato.
Incrinato sì, ma solo un poco però...
E così fu che fece una spallucciata, prese la più bella sirena di passaggio, e andò con lei a vivere nel Mar Rosso, paradiso dei subacquei.
Questa è la vera storia di Cola Pisci


Note:
questa mia interpretazione della leggenda di Cola Pesce è molto vecchia, ed è già stata riportata sul web, sotto pseudonimo di milo algarve, all'indirizzo:

Però mi è piaciuto ugualmente riproporla qui. Post domenicale... Non ho fatto davvero fatica, questa volta ;)
Propongo il cast:
Mastro Cirase: Diego Abatantuono a 70 anni
Nescireddu: Ninetto Davoli a 7 anni (!)
Cola Pisci: io, naturalmente! ;)
Sirena di passaggio: Natasha Stefanenko a 20 anni! :O
;)

l'immagine è tratta da:
RENATO GUTTUSO - "Colapesce"